Dallo studio Cassini nuovi risultati sull’impiego di rivaroxaban per la prevenzione di tromboembolismo venoso in pazienti oncologici ad alto rischio
Dallo studio
Cassini nuovi risultati sull’impiego di rivaroxaban per la prevenzione di
tromboembolismo venoso in pazienti oncologici ad alto rischio
Milano, 5 dicembre, 2018 – Bayer e il suo partner di sviluppo Janssen
Research & Development, LLC hanno annunciato la presentazione dei risultati
dello studio di Fase 3 CASSINI sull’impiego dell’anticoagulante orale
rivaroxaban, per ridurre il rischio di tromboembolismo venoso (TEV) in pazienti
oncologici ambulatoriali ad alto rischio, in terapia sistemica oncologica.
Nonostante l’endpoint primario composito di TEV e mortalità associata non sia
stato raggiunto, è stata osservata una riduzione clinicamente rilevante e
nominalmente significativa degli eventi di TEV nel periodo di trattamento, con
esiti di sicurezza simili a quelli riscontrati con il placebo.
I risultati dello studio CASSINI sono
stati presentati tra gli Studi Clinici Late-Breaking al Congresso
Annuale della Società Americana di Ematologia a San Francisco (1 - 4 dicembre)
e vanno ad aggiungersi alle evidenze a favore dell’uso di rivaroxaban in
pazienti oncologici. I risultati dello studio SELECT-D, annunciati lo scorso
anno, avevano evidenziato una riduzione delle recidive di TEV e basse
percentuali di emorragia maggiore in pazienti con malattia oncologica attiva e
TEV in terapia con rivaroxaban, rispetto allo standard terapeutico[i].
Chi è affetto da malattia oncologica
attiva ha un rischio di TEV da quattro a sette volte superiore rispetto a
coloro che non hanno queste patologie. Rischio che la chemioterapia può acuire
ulteriormente.[ii]
Quasi un quinto dei casi di TEV presentano una patologia oncologia2
e la gestione efficace di questo tipo di pazienti comporta, tra l’altro, anche
un forte dispendio di risorse sanitarie[iii].
“Sebbene l'endpoint primario di
efficacia non sia stato raggiunto, una riduzione degli eventi di TEV osservata
nei pazienti durante il trattamento con rivaroxaban rispetto al placebo fornisce
importanti informazioni in questo contesto. Gli esiti di sicurezza in questo
gruppo di pazienti ad alto rischio di eventi è, inoltre, rassicurante” - ha
dichiarato Alok A. Khorana, Professore di Medicina del Clinic Lerner College
of Medicine di Cleveland - “I pazienti oncologici presentano un rischio
molto elevato di tromboembolismo, con conseguenze che vanno dalla necessità di
ricovero ospedaliero e, talvolta, alla mortalità”.
Nella popolazione intention to treat
(ITT), nel periodo di studio, l’esito primario d’efficacia si è verificato in
37 pazienti su 421 (8,79%) nel gruppo placebo, e in 25 pazienti su 420 (5,95%)
trattati con rivaroxaban 10 mg una volta/die. L’analisi prestabilita ITT sul
periodo di trattamento ha valutato tutti gli eventi che si sono verificati
mentre il paziente era in trattamento (+ 2 giorni). Quest’analisi ha
riscontrato una riduzione degli eventi di TEV nominalmente significativa pari
al 60% nei pazienti in terapia con rivaroxaban rispetto al gruppo a placebo.
Per quanto riguarda l’esito principale
di sicurezza, i casi di sanguinamenti maggiori, così come definito dalle Linee
Guida della Società Internazionale di Emostasi e Trombosi (ISTH), sono stati
molto contenuti in entrambi i bracci dello studio, e hanno riguardato 4
pazienti su 404 (0,99%) nel braccio a placebo, e 8 pazienti su 405 (1,98%) nel
gruppo trattato con rivaroxaban; questo risultato non è stato statisticamente
significativo. Le analisi di sicurezza sono state condotte nel periodo di
trattamento esclusivamente su pazienti che hanno ricevuto almeno una dose del
farmaco in studio.
“Siamo soddisfatti della presentazione
di questi risultati che approfondiscono ulteriormente le nostre conoscenze sui
benefici di rivaroxaban in pazienti oncologici” - ha dichiarato Michael Devoy,
Chief Medical Officer di Bayer AG - “Continueremo le nostre valutazioni
sull’uso di rivaroxaban in questa popolazione di pazienti, con il nostro
programma di studi clinici in corso denominato CALLISTO e attendiamo ulteriori
risultati”.
Lo studio CASSINI ha valutato il ruolo
della tromboprofilassi primaria con un anticoagulante orale non-antagonista
della vitamina K (NOAC) in pazienti oncologici ad alto rischio di trombosi
venosa profonda (TVP) e/o embolia polmonare (EP) e i suoi risultati vanno ad
aggiungersi a quelli precedentemente acquisiti sull’impiego di rivaroxaban in
questa popolazione di pazienti, tra cui i risultati dello studio SELECT-D,
pubblicati sul Journal of Clinical Oncology nei mesi scorsi1, l’analisi di sottogruppo in pazienti oncologici del
programma di studi EINSTEIN, ed evidenze di vita reale.5
A luglio di quest’anno, le nuove
indicazioni del Comitato Scientifico e di Standardizzazione (SSC) della Società
Internazionale di Emostasi e Trombosi (ISTH) hanno suggerito l’impiego di
rivaroxaban per il trattamento di pazienti oncologici con diagnosi acuta di
TEV, un basso rischio emorragico e nessuna interazione farmacologica con la
terapia sistemica in corso.
Lo Studio CASSINI
CASSINI fa parte del programma CALLISTO
ed è uno studio multicentrico di superiorità, randomizzato, in doppio cieco,
con gruppo di controllo a placebo per la valutazione del ruolo della
tromboprofilassi con rivaroxaban 10 mg una volta/die in pazienti oncologici
ambulatoriali ad alto rischio di tromboembolismo venoso (TEV). Al momento
attuale rivaroxaban non è ancora approvato per questa indicazione.
Per individuare i pazienti ad alto
rischio è stato utilizzato il punteggio di Khorana[1].
Lo studio ha arruolato in 11 Paesi un totale di 841 pazienti affetti da diversi
tipi di tumore (>30% con tumore al pancreas) che stavano avviando terapia
sistemica oncologica e presentavano un altro rischio di TEV, ossia con il
punteggio di rischio tromboembolico di Khorana >= 2.
Una caratteristica importante dello
studio CASSINI è stato l’utilizzo dello screening per individuare casi di TEV
asintomatico, una condizione relativamente diffusa e associata a maggiore
mortalità, oltre a pazienti con TEV sintomatico. Precedenti studi in pazienti
ad alto rischio hanno dimostrato un’alta percentuale di trombosi al basale, per
le quali l’anticoagulazione in profilassi sarebbe inadeguata. I pazienti che al
basale presentavano TVP allo screening o con TVP o EP individuati tramite
indagini strumentali di routine nei 30 giorni precedenti la
randomizzazione sono stati esclusi.6
I pazienti sono stati randomizzati in
rapporto 1 a 1 per ricevere rivaroxaban 10 mg una volta/die o placebo (entrambi
in aggiunta all’attuale terapia consueta) per 180 giorni.
L’endpoint primario composito
d’efficacia era costituito da diagnosi confermata in maniera oggettiva di
trombosi venosa profonda (TVP) prossimale alle estremità inferiori sintomatica
o asintomatica, TVP distale alle estremità superiori o inferiori sintomatica o
embolia polmonare incidentale e mortalità correlata a TEV.
L’endpoint primario di sicurezza era il
verificarsi di emorragia maggiore secondo la definizione ISTH[2].
Per quanto riguarda l’esito primario
d’efficacia, i pazienti trattati con rivaroxaban 10 mg una volta/die hanno
avuto incidenza di eventi pari al 5,95% (25 su 420) e numericamente inferiore
rispetto all’8,79% (37 su 421) nel gruppo a placebo, (hazard ratio,HR, =0,66
intervallo di confidenza,IC, al 95%: 0,40 1,09) non raggiungendo però la
significatività statistica nella popolazione intention to treat
(ITT) (p = 0,101).
Durante il periodo in terapia,
l’endpoint composito si è verificato in percentuale del 2,62% nel gruppo
rivaroxaban, rispetto al 6,41% nel gruppo placebo; (HR) = 0,40 (IC al 95%: 0,20
0,80), p nominale=0,007. Di tutti i pazienti con TEV, il 38,70% ha avuto tali
eventi dopo aver interrotto il farmaco in studio.
L’incidenza di emorragia maggiore secondo
la definizione ISTH è stata bassa, in maniera omogenea, in entrambi i bracci
dello studio (<2%). L’endpoint primario di sicurezza si è verificato in 4
pazienti su 404 (0,99%) nel gruppo a placebo e in 8 pazienti su 405 (1,98%) nel
gruppo in terapia con rivaroxaban (HR 1,96; IC: 0,59 6,49; p=0,265).
[1] Il Punteggio di Khorana per
il Rischio di TEV predice tale rischio nei pazienti oncologici sulla base del
tipo di tumore e di altri fattori.
[2] Secondo i criteri della Società
Internazionale di Emostasi e Trombosi (ISTH) la definizione di emorragia
maggiore comprende l’emorragia fatale e/o sintomatica in organo o sede critica
ad esempio intracranica, intraspinale, intraoculare, retroperitoneale,
intrarticolare o pericardica, o intramuscolare con sindrome compartimentale e/o
che determini un calo dell’emoglobina di 20 g L−1 (1,24 mmol L−1) o superiore o
che richieda la trasfusione di due o più unità di sangue intero o globuli
rossi.
[i] Young AM, Marshall A, Thirlwall
J et al. Comparison of an Oral Factor Xa Inhibitor with Low Molecular
Weight Heparin in Cancer Patients with Venous Thromboembolism: Results of a
Randomized Trial (SELECT-D). J Clin Oncol 2018
[ii] Connolly GC and Francis CW.
Cancer-associated thrombosis. ASH Education Book 2013;1:684-91
[iii] Khorana AA et al. Clinicoecon Outcomes
Res. 2013;5:101-8
4. Khorana AA et al. Role of
direct oral anticoagulants in the treatment of cancer-associated venous
thromboembolism: guidance from the SSC of the ISTH. Journal of Thrombosis and
Haemostasis, 2018. 16: 1–4
5. Streiff MB et al, Am J
Hematol 2018;93:664–671
6. Khorana AA, et al. Thromb
Haemost. 2017 Nov 1;117(11):2135-2145.
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