Degenerazione maculare neovascolare legata all’età e Edema maculare diabetico
Si vive più a lungo, ma non devono essere anni bui
-
L’allungamento dell’aspettativa di vita è un fatto importante così come la
prevenzione di malattie non letali ma fortemente invalidanti.
-
Degenerazione Maculare Legata all’Età essudativa ed Edema Maculare Diabetico,
cause di gravi menomazioni della vista, oggi possono essere curate
efficacemente se diagnosticate in modo tempestivo.
- La
“rivoluzione” portata dai farmaci anti-VEGF e l’importanza dell’appropriatezza
dei trattamenti, per non correre il rischio delle recidive
_________________________________________________________________________________
Milano,
28 maggio 2019 - Nel mondo occidentale la maggior parte della popolazione “over 65” è in buona salute,
configurandosi, spesso, come una potenziale risorsa per la comunità. Tuttavia l’allungamento della vita non corrisponde
sempre ad un reale mantenimento della sua qualità. Le malattie della vista, ad esempio, che comportano una minore autosufficienza e un maggior
isolamento, hanno un impatto sociale assai rilevante.
La Degenerazione
Maculare Legata all’Età (DMLE) è una patologia legata all’invecchiamento ed
è la principale causa di riduzione
visiva nei soggetti con età superiore ai 65 anni. In Italia colpisce circa 1
milione di persone (tra diagnosticate e non).
E’ un’affezione
cronica a carattere degenerativo e progressivo, che interessa la macula, la porzione centrale della
retina deputata alla visione distinta. Esistono due forme della patologia, quella secca e quella umida o essudativa.
Quest’ultima (10-15% dei casi) determina
un rapido e progressivo calo visivo,
associato a distorsione della visione centrale ed è la principale causa, nei
Paesi sviluppati, di perdita visiva irreversibile.
In
Italia, ogni anno si registrano circa 50.000
nuovi casi di DMLE essudativa. La prevalenza della DMLE è rara prima dei 55
anni, ma la sua incidenza aumenta soprattutto dopo i 75 anni. Secondo alcune
stime la patologia colpisce il 20% degli ultracinquantenni (1 persona su 5) e,
in particolare, il 35% (1 persona su 3) degli ultrasettantenni.
Alla luce dei dati epidemiologici, la DMLE può
essere considerata una malattia di grave
rilevanza socio-sanitaria. Nelle forme
moderate e gravi, con profonda riduzione visiva, i pazienti subiscono un
peggioramento della qualità della vita
del 60%.
Questa è una conseguenza delle gravi limitazioni delle normali attività della vita quotidiana,
come leggere o guidare o della capacità di occuparsi di sé, che la malattia
comporta. Senza considerare che la perdita visiva associata a DMLE aumenta il rischio di cadute e fratture,
con la conseguente necessità di una frequente assistenza medica riabilitativa.
I fattori di rischio che presentano un
legame più forte con la patologia sono: età
avanzata (gli ultra-settantenni presentano un rischio almeno 3 volte
maggiore rispetto a chi ha meno di 60 anni), predisposizione genetica, precedente
intervento di cataratta, fumo (i
fumatori presentano una probabilità doppia di sviluppare DMLE essudativa,
rispetto ai non fumatori). Inoltre, gli stadi più avanzati della malattia sono
più frequenti nelle donne rispetto agli uomini.
La diagnosi
tempestiva, attraverso visite
oculistiche da effettuare con regolarità dopo i 55 anni, è di fondamentale importanza, perché permette allo
specialista di orientare il paziente verso i trattamenti più adeguati. E’
opportuno ricordare che, se la patologia
è curata in modo appropriato, la perdita visiva non solo può essere arrestata,
ma può anche regredire.
Una semplice visita oculistica, tuttavia, non è
sempre sufficiente per formulare una diagnosi corretta. Per confermare quest‘ultima
e inquadrare la malattia sono, infatti, necessari alcuni esami strumentali; tali accertamenti sono la tomografia ottica a coerenza (OCT), l’angiografia con fluoresceina (o fluorangiografia), eventualmente
anche con verde di indocianina.
Negli ultimi 20 anni il trattamento della DMLE
essudativa ha registrato notevoli progressi, con la scoperta di farmaci ad azione mirata sul fattore di crescita
dell’endotelio vascolare VEGF, somministrati attraverso iniezioni intravitreali. In patologia
oculare è noto che il VEGF-A e il PGF (fattore di crescita placentare)
sono coinvolti principalmente nell’induzione della neovascolarizzazione
oculare.
L’attuale
standard terapeutico per il trattamento della DMLE essudativa è pertanto la
terapia anti-VEGF somministrata mediante iniezione intravitreale.
Inizialmente, i farmaci disponibili hanno
dimostrato di prevenire la perdita visiva e di aumentare l’acuità visiva attraverso somministrazioni mensili,
rappresentando però per il paziente un carico
gravoso e scarsamente applicabile nella pratica clinica.
Pertanto, si è avvertita la necessità di una terapia anti-VEGF, che coniugasse vantaggi ottimali in termini di acuità
visiva con un regime posologico più
funzionale nella vita di tutti i giorni.
Dopo gli
anticorpi monoclonali, che hanno rappresentano la prima frontiera delle
terapie per questa patologia, nel 2013 è
arrivato sul mercato italiano una
nuova molecola di Bayer: aflibercept.
Si tratta di una proteina di fusione completamente umana, con un meccanismo d’azione
che agisce “intrappolando” i fattori
responsabili della crescita anomala dei vasi sanguigni all’interno della
retina.
Diversi studi hanno dimostrato che aflibercept ha nell’occhio una durata
d’azione più lunga e una potenza maggiore rispetto agli altri anti VEGF,
rendendo possibili somministrazioni meno
frequenti.
Con aflibercept sono
stati studiati approcci cosiddetti “proattivi” nei quali la somministrazione del farmaco avviene anche
in assenza di attività della malattia, secondo uno schema fisso (ogni due mesi
dopo una fase iniziale di 3 somministrazioni mensili), oppure secondo una
modalità “Treat and Extend”, in cui dopo la fase fissa iniziale l’intervallo tra una iniezione e la
successiva viene esteso o ridotto sulla base della risposta individuale del
paziente.
Il regime T&E
è un regime personalizzato, che ha
come obiettivo la prevenzione della
riattivazione della patologia. Il farmaco viene somministrato ad ogni
visita programmata, indipendentemente dalla situazione anatomica o funzionale
del paziente al momento della visita. L’acuità visiva e la situazione anatomica
del paziente servono a determinare l’intervallo tra i trattamenti, con
l’obiettivo di individuare per ciascun
paziente l’intervallo massimo raggiungibile, senza che si verifichi alcuna
recidiva.
Questo tipo di approccio permette di ridurre il numero delle visite e di eliminare i monitoraggi tra le
iniezioni, rendendo più gestibile la patologia, contenendo l’utilizzo delle
risorse e facilitando l’aderenza alla terapia del paziente.
Sulla base degli studi VIEW e del recente studio
ALTAIR, attualmente la label di aflibercept per il
trattamento della DMLE essudativa prevede un’iniezione
al mese per 3 mesi consecutivi e una
quarta iniezione dopo un primo
intervallo di due mesi; gli intervalli successivi possono essere mantenuti
a due mesi o ulteriormente allungati di 2 o 4 settimane secondo il regime ‘Treat and Extend’. Se necessario, in
base alle condizioni del paziente, è possibile ridurre l’intervallo tra le
iniezioni.
Oltre alla Degenerazione Maculare Legata all’Età, aflibercept ha anche l’indicazione per l’Edema Maculare Diabetico (Diabetic Macular Edema:DME).
DME è una malattia che si
verifica quando,
nei pazienti diabetici, i vasi sanguigni
nella retina riversano fluidi e proteine nella macula (zona centrale della
retina), provocando un ispessimento
della stessa, DME può insorgere in qualsiasi fase della retinopatia diabetica,
complicanza che interessa globalmente almeno il 30% della popolazione
diabetica.
DME si instaura solitamente sotto
forma di ridotte aree edematose, che
non interessano il centro della macula (la fovea), ma può progredire fino ad occupare aree più estese che compromettono o
interessano questa regione. Pertanto, il rilevamento e il trattamento precoce delle varie forme di DME risultano
essere di vitale importanza.
Fra i sintomi del DME vi sono: visione
offuscata o distorta, percezione sbiadita dei colori, alterazioni nella sensibilità al contrasto,
aree di cecità nella visione centrale.
Nei casi di DME sospetto, l’OCT
(tomografia ottica a radiazione coerente) è
il test diagnostico più appropriato per una corretta valutazione e
quantificazione della patologia.
Essendo la principale causa
della perdita della vista nei soggetti con diabete di tipo 1 e 2, DME può avere
un notevole impatto negativo sulla
qualità della vita e sulla capacità di svolgere le attività quotidiane.
I dati sulla prevalenza del DME
possono variare fortemente. Alcune stime suggeriscono che nel 2010 circa 21 milioni di persone al mondo soffrivano di DME e
questa prevalenza aumenterà fino a
raggiungere i 33 milioni entro il
2030. La Federazione Internazionale del diabete ha dichiarato che fra i
pazienti affetti da diabete in Europa, circa l’11% sviluppa DME e l’1-3% soffre
di significativa perdita della vista come conseguenza di questa condizione.
E’ stato dimostrato che il fattore di
crescita dell’endotelio vascolare o VEGF
ha un ruolo centrale nella vasculopatia
retinica che contribuisce alla
fisiopatologia del DME. Un altro componente della famiglia del VEGF, il fattore di crescita placentare o PGF aumenta in modo proporzionale al
grado di severità di questa malattia.
I paradigmi di trattamento del DME hanno avuto una rapida evoluzione in
anni recenti. Anche se la fotocoagulazione
laser a griglia maculare o focale è
stata ampiamente raccomandata come standard terapeutico fin dagli anni ’80, questo approccio è generalmente efficace nello stabilizzare la
vista, non nel migliorarla. Le Linee Guida di EURETINA (la Società Europea
degli specialisti di malattie della retina) oggi non considerano più il laser come gold standard, ma ne limitano
l’utilizzo ad alcuni casi particolari.
L’uso di corticosteroidi per via intravitreale è diventato un’alternativa, con un
favorevole rapporto costo-efficacia rispetto alla fotocoagulazione laser: tuttavia, questo approccio è limitato ad
alcune categorie di soggetti e da possibili rilevanti eventi avversi, come
cataratta e aumento della pressione intraoculare.
La classe terapeutica più utilizzata per il trattamento del DME è
rappresentata dagli inibitori del fattore di crescita endoteliale vascolare (VEGF),
o anti-VEGF.
Studi clinici con anti-VEGF
hanno dimostrato miglioramenti significativi dell’acuità visiva in pazienti con DME rispetto alla fotocoagulazione laser.
Di conseguenza, i farmaci anti-VEGF sono
entrati nell’armamentario terapeutico del DME.
I farmaci anti-VEGF (tra i quali
aflibercept) sono stati valutati in studi clinici su vasta scala. Questi studi,
confermati dai dati desumibili dalla pratica quotidiana, hanno dimostrato miglioramenti visivi significativi, rispetto alla terapia con laser.
In particolare, l’efficacia e la sicurezza di aflibercept in confronto alla
fotocoagulazione laser maculare sono state valutate in due ampi studi della
durata di tre anni (VIVID-DME e VISTA-DME). La fotocoagulazione laser maculare
è stata scelta come trattamento di confronto per entrambi gli studi, in quanto
riconosciuta, all’epoca, come ‘gold
standard’ di trattamento per il DME. Gli studi VIVID e VISTA hanno
dimostrato che il trattamento con aflibercept determina un significativo e
rapido incremento dell’acuità visiva, che
si mantiene fino a 3 anni di osservazione.
Sulla base degli studi VIVID e VISTA la label
di aflibercept per il trattamento della compromissione della vista secondaria a
edema maculare diabetico prevede un’iniezione
al mese per 5 mesi consecutivi e, successivamente, un’iniezione ogni due mesi;
non è necessario alcun monitoraggio tra le iniezioni. Dopo il primo anno è
possibile somministrare aflibercept in regime “Treat and Extend”.
Nel 2015, inoltre, è stato pubblicato uno studio
indipendente, il Protocol T, che
aveva come obiettivo quello di confrontare
ad un anno l’efficacia di 3 farmaci ad azione anti-VEGF, aflibercept,
bevacizumab e ranibizumab (0.3mg), nel trattamento di pazienti affetti da DME.
Lo studio ha avuto il merito di evidenziare che nei pazienti con al baseline un’acuità
visiva inferiore alle 69 lettere ETDRS (circa il 50% dell’intera
popolazione arruolata nello studio), l’utilizzo
di aflibercept ha permesso di guadagnare un numero di lettere superiore
rispetto agli altri due farmaci.
Questo importante
risultato è stato ripreso anche dalle Linee
Guida EURETINA per la gestione del DME (Guidelines
for the Management of Diabetic Macular Edema by the European Society of Retina
Specialists –EURETINA) nelle quali infatti si
afferma che aflibercept è il farmaco di
scelta per il trattamento del DME in pazienti che al baseline presentano un
visus inferiore alle 69 lettere.
DEGENERAZIONE
MACULARE LEGATA ALL’ETA’
La degenerazione maculare legata all’età (DMLE) è la principale causa,
nei Paesi sviluppati, di perdita visiva
irreversibile e rappresenta la terza
causa in tutto il mondo.
Può essere non essudativa (secca) o neo-vascolare (umida o essudativa).
Quest’ultima forma è caratterizzata dallo sviluppo
di nuovi vasi sanguigni da parte degli strati
più profondi della retina, dai quali fuoriescono lipidi, liquido e sangue.
La perdita di questi fluidi può
provocare edema, gonfiore e disturbi dell’architettura della retina, che,
alla fine, portano a visione offuscata e
distorta.
Se
non trattata, l’area
di neovascolarizzazione si espande rapidamente e nella macula si sviluppa un’ampia cicatrice fibrosa. Sebbene la
DMLE essudativa rappresenti solo il 10 – 15% dei casi di DMLE è, comunque, responsabile dell’80% dei casi di grave
perdita visiva o cecità legale associata alla patologia.
La degenerazione
maculare legata all’età si manifesta con una perdita del visus al centro
del campo visivo e/o con una distorsione delle immagini, che costituiscono
il sintomo premonitore più importante (riconoscibile tramite il test - o
griglia - di Amsler).
Il processo è irreversibile e la maggior parte dei pazienti con DMLE essudativa non trattata va incontro a una progressione, fino a una grave perdita visiva dell’occhio colpito
entro due anni dalla diagnosi.
Sebbene le persone
colpite da questa malattia non diventino
completamente cieche, spesso la perdita visiva riduce notevolmente la qualità della vita: in uno studio, la DMLE
grave ha portato una riduzione del 60% della qualità di vita dei pazienti
colpiti, equivalente a quella associata a cancro della prostata allo stadio
terminale o ictus.
Questa è una
conseguenza delle gravi limitazioni delle
normali attività della vita quotidiana come leggere o guidare o della
capacità di occuparsi di sé che la malattia comporta. Senza tralasciare il
fatto che la perdita visiva associata a DMLE aumenta il rischio di cadute e fratture, con la conseguente necessità
di una frequente assistenza medica riabilitativa.
Da qui si comprende
come il carico economico associato alla
perdita visiva legata alla DMLE essudativa è consistente: oltre ai costi di
natura medica collegati alla vista (sussidi visivi, visite oftalmologiche, ecc.),
esistono oneri connessi all’invalidità, alle ospedalizzazioni, all’assistenza
sanitaria ed infermieristica, anche a domicilio.
La diagnosi tempestiva, attraverso visite oculistiche da effettuare con regolarità dopo i 55 anni, è di fondamentale
importanza, perché permette allo
specialista di orientare il paziente verso i trattamenti più adeguati. E’
opportuno ricordare che, se la patologia
è curata in modo appropriato, la perdita visiva non solo può essere arrestata,
ma può anche regredire.
Una semplice visita
oculistica, tuttavia, non è sempre sufficiente per formulare una diagnosi
corretta. Per confermare la diagnosi e inquadrare la malattia sono, infatti,
necessari alcuni esami strumentali;
tali accertamenti sono la tomografia
ottica a coerenza (OCT), l’angiografia
con fluoresceina (o fluorangiografia), eventualmente anche con verde di
indocianina.
Epidemiologia
Con l’avanzare dell’età media della popolazione,
si stima che, globalmente entro il 2020, 80 milioni di persone saranno colpite da DMLE.
In
Italia si calcola che
siano affette da DMLE circa un milione
di persone (tra diagnosticate e non); ogni
anno si registrano circa 50.000 nuovi casi di DMLE essudativa. La
prevalenza della DMLE è rara prima dei 55 anni, ma la sua incidenza aumenta
soprattutto dopo i 75 anni. Secondo alcune stime la degenerazione maculare
legata all'età colpisce il 20% degli ultracinquantenni (1 persona su 5) e, in
particolare, il 35% (1 persona su 3) degli ultrasettantenni.
I
fattori di rischio che presentano un
legame più forte con la patologia sono: età
avanzata (gli ultra-settantenni presentano un rischio almeno 3 volte
maggiore rispetto a chi ha meno di 60 anni), predisposizione genetica, precedente
intervento di cataratta, fumo (i
fumatori presentano una probabilità doppia di sviluppare DMLE essudativa,
rispetto ai non fumatori). Inoltre, gli stadi più avanzati della malattia sono
più frequenti nelle donne rispetto agli uomini.
Patogenesi
Il meccanismo
attraverso il quale si instaura la malattia può essere riportato al fatto che, con l’età, si iniziano a formare tra
l’epitelio retinico pigmentato (RPE) e la membrana di Bruch, dietro la retina, depositi
di materiale proteico-lipidico, chiamati “drusen”, il cui eccesso può danneggiare l’RPE. La risposta
infiammatoria cronica può portare ad ampie
aree di atrofia della retina e all’espressione
di proteine della famiglia del fattore di crescita dell’endotelio vascolare
VEGF (Vascular Endothelial Growth
Factor), che inducono lo sviluppo di
nuovi vasi sanguigni.
I componenti della
famiglia del VEGF e i loro recettori giocano un ruolo essenziale nello sviluppo
e nel mantenimento della vascolarizzazione ematica e linfatica. Ad oggi sono
stati identificati 5 differenti proteine VEGF: VEGF-A, VEGF-B, VEGF-C, VEGF-D e
PGF.
In patologia oculare è
noto che il VEGF-A e il PGF sono
coinvolti principalmente nell’induzione
della neovascolarizzazione oculare.
Il VEGF-A è una proteina presente in
natura, che innesca la vasculogenesi e l’angiogenesi, ed è stato associato alla crescita patologica di nuovi fragili vasi
nell’occhio, insieme a un’anomala permeabilità vascolare e conseguenti
alterazioni edematose dei tessuti coinvolti.
Trattamenti
Negli ultimi 20 anni il
trattamento della DMLE essudativa ha registrato notevoli progressi, con la scoperta di farmaci ad azione mirata sul
VEGF, somministrati attraverso iniezioni
intravitreali. Farmaci che hanno consentito non solo di prevenire la perdita visiva, ma anche guadagnare acuità visiva.
L’attuale
standard terapeutico per il trattamento della DMLE essudativa è, pertanto, la
terapia anti-VEGF somministrata mediante iniezione intravitreale.
Il ranibizumab, un
frammento anticorpale monoclonale diretto contro i VEGF-A trova indicazione per
il trattamento della DMLE essudativa e di altri disturbi retinici[i].
Il bevacizumab, un anticorpo
monoclonale umanizzato ricombinante anti- VEGF, è approvato per numerose
indicazioni oncologiche[ii], tuttavia viene
utilizzato off-label nella
popolazione affetta da DMLE essudativa, richiedendo, però, una preparazione
magistrale da parte di un farmacista. Ovvero il frazionamento e confezionamento
di bevacizumab per uso intravitreale può essere effettuato solo da parte di
farmacie che operano nel rispetto delle norme di buona preparazione (NBP)[iii].
Inizialmente i farmaci disponibili
hanno dimostrato di prevenire la perdita visiva e di aumentare l’acuità visiva attraverso somministrazioni mensili[iv];
il carico rappresentato da tale regime
per i pazienti con DMLE essudativa risulta gravoso e scarsamente applicabile
nella pratica clinica. Pertanto, si è avvertita la necessità di una terapia anti-VEGF che coniugasse guadagni ottimali in
termini di acuità visiva e con un regime posologico più funzionale nella vita
di tutti i giorni.
Dopo gli anticorpi
monoclonali, che hanno rappresentano la prima frontiera delle terapie per
questa patologia, nel 2013 Bayer ha
lanciato sul mercato italiano una nuova molecola: aflibercept.
Aflibercept
Si tratta di una proteina di fusione completamente umana,
con un meccanismo d’azione che agisce “intrappolando” i fattori responsabili
della crescita anomala dei vasi sanguigni all’interno della retina.
Aflibercept è un “recettore trappola” costituito da una proteina di fusione solubile, che si lega a tutte le isoforme del fattore di
crescita dell’endotelio vascolare-A e -B (VEGF-A e VEGF-B) e del fattore di crescita placentare (PGF)
con un’affinità maggiore di quella dei recettori naturali per il VEGF[v].
Il farmaco forma con il
VEGF un complesso inerte 1:1, molto stabile, in cui la molecola di VEGF viene
trattenuta tra le due estremità della proteina di aflibercept.
Aflibercept è prodotto
con la tecnologia del DNA ricombinante.
Dal punto di vista strutturale, si tratta di una nuova proteina di fusione
composta dai domini chiave dei due recettori VEGFR1 e VEGFR2, uniti con la
frazione costante (Fc) dell’immunoglobulina G1 (IgG1) umana. La sequenza amminoacidica è integralmente
umana e, grazie a un peso molecolare di circa 110.000, penetra tutti gli strati della retina.
Diversi studi hanno
dimostrato che aflibercept ha
nell’occhio una durata d’azione più lunga[vi]
e una potenza maggiore rispetto agli altri anti VEGF[vii],
rendendo possibili somministrazioni meno
frequenti, riducendo così il carico per i clinici e per i pazienti rappresentato
da iniezioni, monitoraggi mensili e impiego di risorse.
In due ampi studi
randomizzati di non inferiorità, aflibercept
somministrato ogni 2 mesi (dopo loading
phase di 3 iniezioni) ha dimostrato di essere sovrapponibile a ranibizumab mensile[viii]
portando ad una riduzione sostanziale del
carico del trattamento in termini di numero di iniezioni, monitoraggio,
visite ambulatoriali e risorse del SSN.
Il successo nella gestione
delle malattie retiniche è quella di massimizzare
i benefici, riducendo gli oneri.
Purtroppo, i dati di pratica clinica rilevano un
trattamento non sovrapponibile ai protocolli di ricerca. Infatti, sia il
numero di iniezioni, che gli intervalli tra le iniezioni stesse non
corrispondono alle indicazioni registrate dei farmaci[ix].
Regimi di trattamento
Sono possibili diversi
regimi di trattamento che si distinguono tra “reattivi” e “proattivi”.
Il PRN è un regime “reattivo”.
Per ridurre, infatti, il numero di iniezioni ed i costi ed esse correlati, i pazienti vengono trattati al riattivarsi
della patologia. Per questo motivo i pazienti stessi vengono visitati mensilmente per valutare il
decorso della malattia e, in occasione di ogni visita, il medico decide se
ritrattare in base a criteri predefiniti. I risultati ottenuti da questo tipo
di regime dipendono fortemente dai
criteri di ritrattamento adottati e da quanto fedelmente vengono applicati.
Un mancato rispetto di tali criteri può
essere causa di sottotrattamento e, quindi, di scarsi risultati in termini di acuità visiva. Nella pratica
clinica, purtroppo, questo accade frequentemente, perché, per problemi organizzativi, è assai difficile
mantenere gli intervalli regolari delle visite mediche, con il rischio che
la malattia progredisca[x].
Con
aflibercept sono stati studiati approcci cosiddetti “proattivi” nei quali
la somministrazione del farmaco avviene
anche in assenza di attività della malattia, secondo uno schema fisso (ogni due
mesi dopo una fase iniziale di 3 somministrazioni, una al mese) oppure secondo
una modalità “Treat and Extend”, in cui dopo la fase fissa iniziale l’intervallo tra una iniezione e la
successiva viene esteso o ridotto sulla base della risposta individuale del
paziente.
Il regime T&E è un “regime proattivo” personalizzato, che ha come obiettivo la prevenzione della riattivazione della patologia. Il farmaco viene
somministrato ad ogni visita programmata, indipendentemente dalla situazione
anatomica o funzionale del paziente al momento della visita. L’acuità visiva e
la situazione anatomica del paziente servono a determinare l’intervallo tra i
trattamenti, con l’obiettivo di individuare
per ciascun paziente l’intervallo massimo raggiungibile senza che si verifichi alcuna
recidiva.
Questo tipo di approccio
permette di ridurre il numero delle
visite e di eliminare i monitoraggi tra le iniezioni, rendendo più
gestibile la patologia, contenendo l’utilizzo delle risorse e facilitando
l’aderenza alla terapia del paziente.
Nello scegliere il
regime da adottare bisogna considerare che il
successo della terapia dipende non solo dal trattamento della malattia attiva,
ma anche dalla prevenzione delle
recidive. Un approccio di tipo proattivo permette al clinico di anticipare
la malattia, riducendo il numero di visite.
L’efficacia e la
sicurezza di aflibercept utilizzato con il regime di trattamento “Treat and Extend” sono stati valutati e confermati in recenti studi clinici internazionali. Il più
importante è lo studio di Fase IV ALTAIR[xi],
condotto in Giappone. I pazienti coinvolti, in totale 246 con età media di 74
anni in 40 centri, hanno ricevuto tre iniezioni mensili consecutive di
aflibercept, seguite da una quarta iniezione dopo 2 mesi (settimana 16 dello
studio). Alla settimana 16, i pazienti sono stati randomizzati con rapporto 1:1
in due gruppi, applicando due diversi regimi ‘Treat and Extend’. In un gruppo
le iniezioni successive sono state eseguite, aggiustando l’intervallo di 4 settimane,
nell’altro gruppo di 2 settimane.
È stata, così, dimostrata l’efficacia di questo approccio e
l’equivalenza dei risultati nei due bracci. Alla fine del follow-up quasi il 60% dei pazienti ha potuto raggiungere un
intervallo tra le iniezioni di 3 mesi e il 40% addirittura di 4 mesi.
Risultati che caratterizzano aflibercept grazie alla
possibilità di aumentare il lasso di tempo tra un’iniezione e l’altra, con
conseguenti benefici in termini di qualità di vita del paziente e gestione
dello stesso da parte del medico.
Sulla base degli studi VIEW e del recente studio ALTAIR, attualmente la label di aflibercept per il trattamento della DMLE essudativa
prevede un’iniezione al mese per 3 mesi
consecutivi e una quarta iniezione
dopo un primo intervallo di due mesi;
gli intervalli successivi possono essere mantenuti a due mesi o ulteriormente
allungati di 2 o 4 settimane secondo il regime ‘Treat and Extend’. Non è richiesto il monitoraggio tra le
iniezioni. Se necessario, in base alle condizioni del paziente, è possibile
ridurre l’intervallo tra le iniezioni.
EDEMA MACULARE DIABETICO
Il diabete è una malattia
metabolica con una fisiopatologia complessa e molteplici cause. È
caratterizzato da iperglicemia, insieme ad alterazioni del metabolismo di
carboidrati, grassi e proteine, dovute a un difetto della secrezione
insulinica, della sua funzione o di entrambe.
La natura cronica a lungo termine del diabete si associa a complicanze che comprendono malattie cardiovascolari, neuropatia, nefropatia e
retinopatia. Pertanto, il peso che
la maggior parte dei pazienti avverte deriva
dalla combinazione del diabete con le patologie concomitanti.
I pazienti diabetici infatti possono sviluppare diverse
complicanze diabete-correlate, soprattutto se non è ben controllato. Queste
condizioni possono essere divise in macrovascolari
(dei grandi vasi sanguigni) e microvascolari
(dei piccoli vasi):
Patologie macrovascolari: malattie
cardiovascolari, fra cui la coronaropatia (cardiopatia) e le malattie
cerebrovascolari compreso l’ictus; le vasculopatie periferiche.
Patologie microvascolari: nefropatia diabetica,
neuropatia diabetica, malattie oftalmiche,
fra cui la retinopatia diabetica e
l’edema maculare diabetico.
In quasi tutti i Paesi ad
alto reddito, il diabete è una delle
principali cause di malattie cardiovascolari, insufficienza renale e cecità.
Complicanze oftalmiche
La retinopatia diabetica
è un’importante complicanza del diabete. Questa condizione interessa la rete di capillari responsabile dell’apporto del sangue
all’occhio e può comportare una disabilità visiva e la cecità nelle persone
con diabete. La retinopatia diabetica grave può, infatti, provocare emorragie
vitreali e il distacco della retina,
con conseguente perdita totale o parziale della vista, e può essere causa di dispersione dei vasi
retinici che, a sua volta, provoca la perdita
della visione centrale e l’insorgenza del DME (Edema Maculare Diabetico). DME costituisce la principale causa di
perdita della vista di grado da moderato a severo in soggetti con diabete.
Edema Maculare Diabetico
(DME)
Le alterazioni dei
capillari retinici associate alla retinopatia
diabetica possono agevolare lo
sviluppo del DME, anche se, va ricordato, DME non è uno stadio della
retinopatia diabetica, bensì una patologia a sé stante, che insorge come
conseguenza delle alterazioni vascolari associate alla retinopatia.
DME si verifica quando i vasi sanguigni nella retina riversano
fluidi e proteine nella macula (zona centrale della retina), provocando un ispessimento della stessa. DME può
insorgere in qualsiasi fase della retinopatia diabetica, complicanza che
interessa globalmente almeno il 30% della popolazione diabetica. La macula
consente una visione centrale limpida e, di conseguenza, qualsiasi danno alla
struttura può avere profonde ripercussioni sulla vista e sulla qualità della
vita.
DME si instaura solitamente sotto forma di ridotte aree edematose, che non interessano il centro della macula
(la fovea), ma può progredire fino ad
occupare aree più estese che compromettono o interessano questa regione.
Pertanto, il rilevamento e il
trattamento precoci delle varie forme di DME risultano essere di vitale
importanza.
Fra i sintomi del DME
vi sono: visione offuscata o distorta, percezione sbiadita dei colori,
alterazioni nella sensibilità al contrasto, aree di cecità nella visione
centrale.
Nei casi di DME
sospetto, l’OCT (tomografia ottica a
radiazione coerente) è il test
diagnostico migliore per una corretta valutazione della patologia.
Essendo la principale causa della perdita della vista nei soggetti con diabete
di tipo 1 e 2, DME può avere un notevole impatto
negativo sulla qualità della vita e sulla capacità di portare a termine le
attività quotidiane. Di conseguenza, l’impatto della patologia può
comportare una considerevole spesa sanitaria. Oltre alle conseguenze fisiche, sociali
ed emotive associate alla perdita della vista, il peggioramento del DME può
anche compromettere la capacità del
paziente di gestire il diabete di base, ad esempio la capacità di leggere i foglietti illustrativi e le informazioni nutrizionali, di effettuare il test della glicemia e di
verificare l’eventuale presenza di
ferite o piaghe nei piedi associate alla neuropatia diabetica. E anche le visite regolari in una clinica
diabetologica possono rappresentare un problema se il soggetto non è più in
grado di guidare.
Epidemiologia
L’Edema Maculare Diabetico è la principale causa di perdita
della vista di grado da moderato a severo in pazienti con diabete e una delle principali cause di cecità nella
popolazione in età lavorativa nei Paesi industrializzati. Essendo una patologia
dovuta a disfunzioni micro vascolari correlate al diabete, DME interessa,
spesso, entrambi gli occhi.
I dati sulla prevalenza del DME possono variare fortemente.
Alcune stime suggeriscono che nel 2010
circa 21 milioni di persone al mondo soffrivano di DME e questa prevalenza
aumenterà fino a raggiungere i 33
milioni entro il 2030. La Federazione
Internazionale del diabete ha dichiarato che fra i pazienti affetti da diabete
in Europa, circa l’11% sviluppa il DME e l’1-3% soffre di perdita della vista
come conseguenza di questa condizione.
Patogenesi
I processi patologici che sono all'origine dell'edema
maculare diabetico sono complessi e non ancora del tutto compresi. Tuttavia
l'endpoint comune di tutti questi processi patologici è rappresentato da un'aumentata permeabilità vascolare e dalla
rottura della barriera emato-retinica (BRB).
A causa della rottura della BRB, si verifica un accumulo di
fluidi nei tessuti retinici e nello spazio subretinico, e attorno ai punti
focali del versamento possono formarsi
depositi di essudati duri di
sostanza lipoproteica. Il risultante
edema maculare può, in definitiva,
condurre alla perdita della funzione visiva.
Ipossia, ischemia, infiammazione e
alterazioni del vitreo e della
macula a livello cellulare e tissutale costituiscono altri importanti
processi coinvolti nella fisiopatologia del DME.
Iperespressione di VEGF
Come osservato, negli stati patologici come le condizioni di
ipossia, ischemia e leucostasi (aumento quantità dei globuli bianchi) che si
sviluppano nell'iperglicemia cronica, si verifica una sovraespressione di VEGF, che aumenta
la permeabilità vascolare e l'angiogenesi.
Il VEGF è stato dimostrato avere un ruolo centrale nella vasculopatia retinica che contribuisce
alla fisiopatologia del DME. I livelli di VEGF, misurati nell'umor
acqueo della camera anteriore e nell'umor vitreo della camera posteriore
dell'occhio, sono significativamente
correlati alla severità del DME.
Anche per il fattore di
crescita placentare PGF, altro componente della famiglia dei VEGF, è stata
dimostrata la capacità di indurre un'aumentata permeabilità vascolare attraverso
l'indebolimento delle giunzioni occludenti nell'RPE, con concomitante accumulo di liquido e formazione di edema.
Approcci terapeutici
I paradigmi di
trattamento del DME hanno subito una rapida evoluzione in anni recenti.
Anche se la fotocoagulazione laser a
griglia maculare e focale è stata
ampiamente raccomandata come standard terapeutico fin dagli anni ’80, questo approccio terapeutico è generalmente efficace nello stabilizzare la
vista, ma non nel migliorarla. Le
Linee Guida di EURETINA (la Società
Europea degli specialisti di malattie della retina) oggi non considerano più il
laser come gold standard, ma ne limitano l’utilizzo ad alcuni casi particolari[xii].
L’uso di corticosteroidi
per via intravitreale è diventato un’alternativa, con un favorevole
rapporto costo-efficacia alla fotocoagulazione laser: tuttavia, questo approccio è limitato ad alcune categorie di soggetti e
da possibili rilevanti eventi avversi, come cataratta e aumento della pressione
intraoculare.
La classe terapeutica più
promettente per il trattamento del DME sono gli inibitori del fattore di
crescita endoteliale vascolare (VEGF), o anti-VEGF.
Studi clinici con anti-VEGF hanno
dimostrato miglioramenti
significativi dell’acuità visiva in pazienti con DME rispetto alla fotocoagulazione laser. Di conseguenza, i farmaci
anti-VEGF sono entrati nell’armamentario terapeutico del DME, sia in aggiunta,
che in sostituzione dei trattamenti di fotocoagulazione laser. Inoltre, per
curare DME possono essere usate, in alcune circostanze, anche tecniche chirurgiche come la
vitrectomia.
Farmaci anti-VEGF
Il ruolo del VEGF nella
patogenesi iniziale e nella progressione del DME è ben documentato. Questo ruolo
fisiopatologico ha, quindi, stimolato lo
sviluppo di terapie anti-VEGF come nuovo approccio terapeutico.
I farmaci anti-VEGF (tra i quali aflibercept) sono stati
valutati in studi clinici su vasta scala. Questi studi, confermati dai dati
desumibili dalla pratica quotidiana, hanno dimostrato miglioramenti visivi significativi rispetto alla terapia con laser.
Aflibercept
In
particolare, l’efficacia e la sicurezza
di aflibercept in confronto alla fotocoagulazione laser maculare sono state
valutate in due ampi studi della durata di tre anni (VIVID-DME e VISTA-DME)[xiii]. La
fotocoagulazione laser maculare è stata scelta come trattamento di confronto
per entrambi gli studi, in quanto riconosciuta, all’epoca, come ‘gold standard’ di trattamento per il DME.
Gli studi VIVID e VISTA hanno dimostrato che il trattamento con aflibercept
determina un significativo e rapido incremento dell’acuità visiva, che si
mantiene fino a 3 anni di osservazione. Sulla
base degli studi VIVID e VISTA la label di aflibercept per il trattamento
della compromissione della vista secondaria a edema maculare diabetico prevede
un’iniezione al mese per 5 mesi
consecutivi e successivamente un’iniezione ogni due mesi; non è necessario
alcun monitoraggio tra le iniezioni. Dopo il primo anno è possibile
somministrare aflibercept in regime “Treat
and Extend”.
Nel 2015, inoltre, è
stato pubblicato uno studio indipendente, il Protocol T[xiv], che aveva come
obiettivo confrontare ad un anno l’efficacia di 3 farmaci ad azione anti-VEGF, aflibercept,
bevacizumab e ranibizumab (0.3mg), nel trattamento di pazienti affetti da DME.
Lo studio ha avuto il
merito di evidenziare che nei pazienti con al baseline un’acuità visiva
inferiore alle 69 lettere ETDRS (circa il 50% dell’intera popolazione arruolata
nello studio), l’utilizzo di aflibercept ha permesso di guadagnare un numero di
lettere superiore rispetto agli altri due farmaci.
Questo
importante risultato è stato ripreso anche dalle Linee Guida EURETINA per la gestione del DME (Guidelines for the Management of Diabetic Macular Edema by the European
Society of Retina Specialists –EURETINA-) nelle
quali infatti si afferma che aflibercept
è il farmaco di scelta per il trattamento del DME in pazienti che al baseline
presentano un visus inferiore alle 69 lettere.
[i] Lucentis
– Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto. https://www.ema.europa.eu/en/documents/product-information/lucentis-epar-product-information_it.pdf
[ii] Avastin
– Riassunto delle caratteristiche del Prodotto. https://www.ema.europa.eu/en/documents/product-information/avastin-epar-product-information_it.pdf
[iii] Determina AIFA 28 aprile 2017
[iv] Rosenfeld PJ, Brown DM, Heier JS, et al. Ranibizumab
for neovascular age-related macular degeneration. N Engl J Med 2006;355:1419 –1431.
[v] Eylea –
Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto. https://www.ema.europa.eu/en/documents/product-information/eylea-epar-product-information_it.pdf
[vi] Fauser et al. Suppression
of intraocular vascular endothelial growth factor during aflibercept treatment
of age-related macular degeneration. Am J Ophthalmol. 2014 Sep;158(3):532-6
[vii] Fauser et al. Clinical
correlation to differences in ranibizumab and aflibercept vascular endothelial
growth factor suppression times. Br J Ophthalmol. 2016 Nov;100(11):1494-1498.
[viii] Heier et al. Intravitreal
aflibercept (VEGF Trap Eye) in wet age related macular degeneration. Ophthalmol
2012; 119: 2537-2549
[ix] Holz et al. Multi-country real-life
experience of anti-vascular endothelial growth factor therapy for wet age-related
macular degeneration. Br J Ophthalmol 2015; 99:220-6
[x] Lanzetta et al. Fundamental
principles of an anti-VEGF treatment regimen: optimal application of
intravitreal anti-vascular endothelial growth factor therapy of macular
diseases. Graefes Arch Clin Exp Ophthalmol. 2017;255:1259-1273
[xi] Ohji et al. Two Different Treat and
Extend Dosing Regimens of Intravitreal Aflibercept for wAMD in Japanese
Patients: 52 Week Results of the ALTAIR Study. Presentation at Euretina 2017
[xii] Schimdt Erfurth et al. Guidelines
for the Management of Diabetic Macular Edema by the European Society of Retina
Specialists (EURETINA). Ophthalmologica 2017; 237: 185-222
[xiii] Korobelnik et al. Intravitreal
aflibercept for diabetic macular edema. Ophthalmology. 2014; 121: 2247-54
[xiv] Wells et al. Aflibercept,
bevacizumab and ranibizumab for diabetic macular edema. New Engl J Med 2015;
372: 1193-1203
Commenti
Posta un commento