Nuovi Anticoagulanti Orali: dagli studi registrativi a quelli Real Life - Focus su Rivaroxaban di Bayer
I nuovi anticoagulanti orali, chiamati ormai comunemente anticoagulanti ad azione diretta (DOAC
– Direct Oral Anti Coagulant), o anticoagulanti non-vitamina K dipendenti
(NOAC – Non-vitamin K Oral Anti Coagulant)
inibiscono direttamente e in modo selettivo fattori specifici della cascata
della coagulazione.
La coagulazione del sangue, per
realizzarsi, richiede l’intervento di numerosi fattori (proteine del sangue) e una
serie complessa di reazioni in successione che costituiscono la cosiddetta cascata
coagulativa. Il Fattore Xa porta alla formazione di trombina, un enzima centrale
della cascata, che converte il fibrinogeno in fibrina, indispensabile nella
formazione del coagulo. Bloccando il Fattore Xa, i livelli di trombina
decrescono e, di conseguenza, viene inibita la formazione dei coaguli nelle
vene e nelle arterie.
Il Fattore Xa catalizza la
formazione di circa 1.000 molecole di trombina, attraverso il cosiddetto “burst” di trombina. L’inibizione diretta
del Fattore Xa previene il “burst” di
trombina, risultando quindi in una inibizione rapida ed efficace del processo coagulativo.
Prima dei NOAC la terapia
anticoagulante disponibile sul mercato includeva solamente le eparine e gli antagonisti della vitamina K (es. warfarin),
in particolare, questi ultimi presentano alcune caratteristiche che ne rendono
difficile la gestione. Infatti è necessario effettuare frequenti controlli
ematici per l’aggiustamento del dosaggio, vista l’alta variabilità di risposta
inter-individuale; inoltre esistono interazioni con numerosi altri farmaci abitualmente
assunti dai pazienti o con alcuni alimenti, che ne variano l’assorbimento e di
conseguenza il profilo di efficacia e sicurezza, potendo anche causare un
aumento del rischio emorragico.
Rivaroxaban di Bayer, inibitore diretto e selettivo del fattore Xa, è entrato nel mercato italiano nel 2009
per la prevenzione del tromboembolismo venoso nella sostituzione elettiva di
anca o ginocchio; successivamente, negli ultimi otto anni, ha dimostrato la sua
efficacia e sicurezza anche in altri ambiti terapeutici investendo, in totale, in
dodici studi di fase III che hanno coinvolto 34.859 pazienti. Dal 2013 ha
ottenuto ulteriori indicazioni per la prevenzione dell’ictus nella
fibrillazione atriale (aritmia cardiaca che è responsabile del 20-30% di tutti
gli ictus) e per il trattamento del tromboembolismo venoso (TEV) e prevenzione
delle sue recidive. In questi anni, l’enorme quantità di dati e di evidenze
accumulata dalla ricerca clinica prospettica e controllata, quella di più alta
qualità (studi di Fase III) sia da studi nella pratica clinica, meno rigorosi,
ma attuabili in popolazioni più ampie, ha portato Rivaroxaban ad ottenere numerose
indicazioni nell’ambito delle malattie tromboemboliche.
La ricerca clinica su Rivaroxaban
prosegue tutt’ora con l’obiettivo di dare soluzioni a bisogni clinici ancora
insoddisfatti.
Di seguito una panoramica degli
studi clinici principali e più recenti su Rivaroxaban.
Gli studi registrativi
L’approvazione
di Rivaroxaban per la prevenzione dell’ictus e dell’embolia
sistemica in pazienti con fibrillazione
atriale non valvolare, si basa sui risultati dello studio di Fase III ROCKET AF, un rigoroso trial internazionale,
randomizzato, in doppio cieco, che ha confrontato rivaroxaban (20 mg o 15 mg
per pazienti con insufficienza renale moderata) in monosomministrazione
giornaliera, con warfarin in oltre 14.000 pazienti. Lo studio ha raggiunto l’endpoint primario di
efficacia dimostrando la non inferiorità di Rivaroxaban rispetto a warfarin
nel prevenire ictus ed embolia sistemica nei pazienti con fibrillazione atriale
non valvolare, con una sicurezza significativamente superiore in termini di riduzione
di sanguinamenti fatali, intracranici ed in organo critico. Importante da sottolineare in questo
studio è la popolazione di pazienti arruolati che presentava un rischio
cardiovascolare più alto rispetto ad altri studi con Rivaroxaban o con altri
NOAC.
Importante da sottolineare in questo studio è la popolazione di pazienti
arruolati, che presentava un rischio cardiovascolare più alto rispetto ad altri
studi con Rivaroxaban o con altri NOAC, e quindi il buon profilo di sicurezza
del farmaco è emerso in una popolazione ad alto rischio di sanguinamento.
“Lo studio ROCKET AF ha messo in luce un importante risultato per una
categoria di pazienti che richiede un’attenzione particolare nella
somministrazione di questi farmaci - ha dichiarato il Dottor Gianluca Botto, Direttore del Centro di
aritmologia ed elettrofisiologia dell’ASST Rhodense -, ovvero quelli affetti da
insufficienza renale. Lo Studio ROCKET AF ha, infatti, dimostrato la
possibilità di utilizzo in totale sicurezza di rivaroxaban in pazienti con
insufficienza renale moderata al dosaggio ridotto di 15 mg. Un altro elemento
molto importante - continua il Dottor Botto - è rappresentato dalla
monosomministrazione giornaliera, garanzia di compliance e aderenza alla terapia”.
L’approvazione di rivaroxaban per le
indicazioni di trattamento della trombosi
venosa profonda (TVP) ed embolia polmonare e prevenzione delle recidive si basa sui risultati di un ricco
programma di studi in quest’ambito (PROGRAMMA EINSTEIN) che ha dimostrato
l’efficacia e la sicurezza di Rivaroxaban in tutte le fasi di trattamento del
tromboembolismo venoso: dal trattamento
acuto e continuato fino ad un anno con i trial Einstein DVT ed Einstein PE, alla prevenzione secondaria a lungo
termine con la fase estesa di ulteriori 12 mesi
con i trial Einstein Extension
ed Einstein Choice.
I primi due studi - Einstein DVT ed Einstein
PE - hanno dimostrato la non inferiorità di Rivaroxaban rispetto al trattamento
standard (eparina seguita da AVK) in termini di riduzione del rischio di eventi
trombotici, a fronte di un buon profilo di sicurezza, soprattutto in termini di
riduzione di sanguinamenti maggiori.
Per la prevenzione secondaria a lungo
termine, Rivaroxaban nell’Einstein Extension ha dimostrato di essere più
efficace del placebo nel ridurre l’incidenza di eventi trombotici, mantenendo
molto basso il rischio di sanguinamento.
Anche confrontandosi con un farmaco attivo
(aspirina) con lo studio Einstein Choice, si è confermata l’efficacia e la
sicurezza di un trattamento anticoagulante a lungo termine (fino a due anni).
Questo Studio, infatti, ha dimostrato che,
sia il dosaggio di Rivaroxaban da 10 mg, sia quello da 20 mg - entrambi in
monosomministrazione giornaliera - hanno ridotto in modo significativo il
rischio di recidiva di tromboembolismo venoso, rispetto ad aspirina da 100 mg 1
volta/die, mantenendo un ottimo profilo di sicurezza, nonostante un trattamento
così prolungato.
Nello specifico: Rivaroxaban 20 mg ha
ridotto del 66% il rischio di recidiva di TEV rispetto ad aspirina una
volta/die, mentre Rivaroxaban 10 mg ha ridotto del 74% il rischio di recidiva
di TEV rispetto ad aspirina 100mg una volta/die. Entrambi i dosaggi di Rivaroxaban
mostrano percentuali molto basse di emorragia maggiore e, allo stesso tempo,
comparabili al braccio di terapia con aspirina.
Lo Studio EINSTEIN CHOICE è un ulteriore
esempio dell’impegno di Bayer nel trovare risposte a domande importanti che
emergono dalla pratica clinica.
“In
pazienti con tromboembolismo venoso la terapia anticoagulante è raccomandata
per tre mesi e oltre, in base al rapporto fra rischio di recidiva e rischio di
emorragia del singolo paziente - aggiunge il Dottor Davide Imberti, Direttore
della Unità Operativa di Medicina Interna e del Centro Emostasi e Trombosi
dell’Ospedale di Piacenza -. In soggetti con TEV il pericolo di recidiva
aumenta fino al 10% nel primo anno, se la terapia anticoagulante viene
interrotta dopo 3, 6 o 12 mesi. I medici, dunque, devono valutare attentamente
se protrarre la terapia anticoagulante per periodi più lunghi, data
l’incertezza del rapporto rischio-beneficio in un determinato paziente. I
risultati dello Studio EINSTEIN CHOICE hanno confermato la promessa contenuta
nel nome dello studio stesso: oltre a rivaroxaban 20 mg una volta al giorno, il
clinico con il dosaggio da 10 mg in monosomministrazione giornaliera ha a
disposizione un’ulteriore scelta terapeutica contro le recidive di TEV. Questa
flessibilità di decidere - continua il Dottor Imberti - a seconda dei casi, il
dosaggio di rivaroxaban più appropriato, consentirà un approccio più preciso nella
scelta della terapia prolungata, sulla base delle valutazioni del singolo
paziente”.
Gli studi “Real Life” in pazienti affetti da Fibrillazione Atriale e
Tromboembolismo Venoso
Oltre agli studi registrativi, rivaroxaban
continua ad essere oggetto di studi osservazionali
post marketing sulla sicurezza
del farmaco. Le evidenze da contesti real
life, sempre più rilevanti per i clinici, in quanto completano ed ampliano
quelle già acquisite nei trial, emergono dal programma XANTUS che, unico al
mondo, include tre studi clinici internazionali, osservazionali, prospettici,
condotti in diverse aree geografiche del mondo.
I risultati dello studio XANTUS condotto in
Europa, Canada ed Israele su 6.785 pazienti nella pratica clinica sono coerenti
con il profilo di sicurezza di rivaroxaban emerso nello studio registrativo. La
forza di questo studio risiede nel disegno, che raccoglie le informazioni in
modo prospettico e nella presenza di un comitato centrale che valutava gli
eventi emersi in corso di studio. Tali caratteristiche nel disegno minimizzano
i possibili errori derivanti dalle scelte non casuali, tanto che i risultati
sono inseriti in scheda tecnica del prodotto.
L’analisi aggregata del programma XANTUS recentemente
presentata al congresso ESC 2017 a Barcellona, comprende oltre 11.000 pazienti
con fibrillazione atriale trattati con Rivaroxaban nella vita reale per un anno
e ha mostrato una bassa incidenza di sanguinamenti maggiori, ictus ed embolia
sistemica.
Un altro ampio studio retrospettivo osservazionale
nella pratica clinica statunitense ha valutato i sanguinamenti maggiori su un’ampia
scala di pazienti (più di 27.000) trattati con rivaroxaban la cui incidenza è
risultata generalmente consistente con il trial registrativo e i sanguinamenti
fatali rari.
Nell’ambito del tromboembolismo venoso XALIA
è il primo e unico studio osservazionale, prospettico effettuato con i NAO,
volto a valutare la sicurezza e l’efficacia di Rivaroxaban in un’ampia
popolazione di pazienti con tromboembolismo venoso nella normale pratica
clinica. Rivaroxaban, utilizzato in monoterapia orale ha mostrato basse
percentuali di emorragie maggiori, di recidiva di tromboembolismo venoso e di
mortalità per tutte le cause, in linea con quanto già emerso nel trial di
registrazione.
Gli studi clinici su selezionate categorie di pazienti affetti da
Fibrillazione Atriale
Oltre allo studio registrativo di Fase III
ROCKET AF e ai numerosi studi post
marketing per raccogliere informazioni sull’efficacia e la sicurezza del
farmaco nella vita “reale”, l’innovazione di Bayer è stata quella di studiare il farmaco in specifici gruppi di pazienti
affetti da fibrillazione atriale: in particolare in coloro che devono essere sottoposti a cardioversione
e coloro che devono essere sottoposti ad
angioplastica coronarica con impianto di stent.
Nel primo caso è stato condotto lo studio X–VeRT, primo studio prospettico
con un NOAC in pazienti con fibrillazione atriale sottoposti a cardioversione,
procedura che viene utilizzata per interrompere l’aritmia e conseguentemente
riportare il paziente in ritmo sinusale, il cui rischio principale è rappresentato
dalla possibilità di embolizzazione peri-procedurale. L’anticoagulante di
riferimento è sempre stato il warfarin, anche se il suo impiego richiede molto
più tempo per raggiungere l’efficacia in quanto si deve raggiungere e mantenere
un International Normalized Ratio (INR) costante - compreso tra 2 e 3 - per tre/quattro
settimane consecutive. Se ciò non
avviene, la procedura deve essere posticipata. Al contrario, con i NOAC, grazie al loro
profilo farmacologico, è possibile programmare la data della procedura in
maniera precisa (21 giorni dopo), già in ambulatorio, al momento della
definizione della sua indicazione.
I risultati dello studio X-VeRT indicano che
rivaroxaban in monosomministrazione giornaliera è in grado di offrire ai
pazienti con fibrillazione atriale una
protezione antitrombotica prima, durante e dopo la procedura di cardioversione,
riducendo il rischio di instabilità della scoagulazione e consentendo
interventi elettivi di cardioversione tempestivi e precisi.
Lo studio ha evidenziato che rivaroxaban si è dimostrato non significativamente
differente da warfarin per
l’endpoint primario di efficacia: (ictus, attacco ischemico, transitorio,
embolia periferica, infarto del miocardio e morte cardiovascolare) e di sicurezza (sanguinamenti maggiori).
Il tempo medio alla cardioversione è
risultato invece significativamente più breve con Rivaroxaban rispetto a
warfarin (22 giorni rispetto a 30 giorni) così come i pazienti con inadeguata
anticoagulazione al momento della cardioversione erano in numero estremamente
più limitato (1 paziente in rivaroxaban rispetto a 95 pazienti in warfarin).
A seguito delle evidenze scientifiche di
efficacia e sicurezza mostrate dallo Studio X VeRT, la scheda tecnica di rivaroxaban è stata aggiornata, includendo il
trattamento di pazienti sottoposti a cardioversione.
Un altro studio dedicato alla popolazione di
pazienti affetti da fibrillazione atriale, riguarda quelli che presentano una coronaropatia e che devono andare incontro
ad angioplastica (intervento coronarico percutaneo -PCI) con impianto di stent. Nel corso della propria vita
circa i 5%-15% dei pazienti con FA avrà bisogno di inserire uno stent con
procedura PCI, con rischio di formazione di trombi, che possono portare a gravi
conseguenze, tra cui ictus, infarto del miocardio o trombosi dello stent.
Grazie ai risultati dello Studio PIONEER AF – PCI, primo trial
randomizzato con un NOAC in questa popolazione di pazienti, è stato approvato l’aggiornamento della
scheda tecnica di rivaroxaban in merito al dosaggio di 15 mg, in
monosomministrazione giornaliera, in associazione a una singola terapia
antiaggregante piastrinica, dimostrando percentuali significativamente ridotte
di emorragia clinicamente significativa rispetto ad un antagonista della
vitamina K (-41%) in associazione a doppia terapia antiaggregante.
Gli studi clinici su selezionate categorie di pazienti
Un altro approfondimento è stato compiuto da
Bayer nei confronti dei pazienti con
coronaropatia o arteriopatia periferica, a rischio significativo di infarto del
miocardio e ictus fatale o invalidante, per i quali è stato disegnato lo Studio COMPASS, randomizzato,
controllato, che ha coinvolto oltre 27.000 pazienti, ad oggi il più vasto
studio clinico su rivaroxaban, che è stato interrotto circa un anno prima del
previsto, per aver dimostrato la
superiorità della terapia.
Rivaroxaban è l’unico anticoagulante orale non antagonista della vitamina K ad essere
valutato per la prevenzione secondaria delle malattie cardiovascolari in
pazienti con coronaropatie e/o arteriopatie periferiche croniche.
Nello Studio COMPASS rivaroxaban al dosaggio vascolare di 2,5 mg due volte/die più aspirina
100 mg una volta/die, ha ridotto il
rischio combinato di ictus, infarto del miocardio e morte per cause
cardiovascolari del 24% in pazienti con coronaropatie e/o arteriopatie
periferiche croniche. Un altro elemento significativo è che nelle
popolazioni di pazienti con arteriopatie periferiche, si è avuta una
significativa riduzione di eventi
avversi maggiori, che hanno interessato gli arti e tutte le amputazioni maggiori da causa vascolare.
A questo proposito, nuovi dati derivanti
dallo Studio COMPASS, pubblicati recentemente su The Lancet, relativi uno a pazienti con arteriopatia periferica (PAD) e un altro a pazienti affetti da malattia coronarica (CAD), mostrano che
rivaroxaban a dosaggio vascolare 2,5 mg due volte die più aspirina 100 mg in
monosomministrazione giornaliera, riducono
considerevolmente il rischio di amputazioni maggiori del 70% (riduzione rischio relativo) e il rischio dell’endpoint
composito di eventi avversi cardiovascolari maggiori (MACE), eventi maggiori
agli arti (MALE) e amputazioni maggiori del 31% (rischio relativo, rispetto ad
aspirina 100 mg in monosomministrazione giornaliera.
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