BUONE NOTIZIE SULLE PATOLOGIE NEUROLOGICHE DAL CONGRESSO NAZIONALE SIN
- Nuovi
farmaci per la cura della Malattia di Alzheimer
- Nuovi
marker prognostici per Morbo di Parkinson e emicrania
- Aggiornamenti
su sonno, intelligenza artificiale, NEUROCOVID e malattie neuromuscolari
Milano, 5 dicembre 2022. Buone
notizie dal Congresso Nazionale della Società Italiana di Neurologia (SIN)
in corso a Milano: al centro dei lavori i risultati di importanti studi
scientifici che promettono decisivi progressi in ambito neurologico grazie a
nuove opportunità diagnostiche e terapeutiche.
Risultati notevoli sono stati annunciati
anche per il Morbo di Parkinson, grazie alla ricerca tutta italiana:
da oggi, attraverso l’analisi della saliva, non solo si potrà fornire
una diagnosi precisa ma addirittura prevedere la progressione
della malattia.
Rimanendo nel campo della prognosi,
anche in merito all’emicrania sono stati individuati marker serici in grado di far capire
quali pazienti corrono il rischio di arrivare a una cronicizzazione del mal
di testa a causa dell’abuso di farmaci. Per questa patologia, inoltre,
è ormai assodato il ruolo fondamentale dei nuovi farmaci per la terapia di
prevenzione, finalizzati alla riduzione della frequenza e dell’intensità
degli attacchi, come la tossina botulinica e gli anticorpi
monoclonali diretti contro il CGRP.
1 Malattia di Parkinson: la prognosi attraverso test salivare Prof. Alfredo Berardelli, Presidente
della Società Italiana di Neurologia Dal 2018 il gruppo di ricerca de La
Sapienza di Roma, guidato dal Professor Berardelli, inseguiva la possibilità
di individuare in maniera non invasiva un biomarcatore diagnostico precoce
della malattia di Parkinson identificando la proteina anomala alfa-sinucleina,
prima possibile solo tramite biopsia gastroenterica o della ghiandola
salivare, dove sembra si concentri prima di diffondersi al cervello. Recentemente,
è stato ottenuto un risultato mai visto prima: tramite il test salivare si
ottiene non solo la diagnosi precoce, ma addirittura un indice prognostico,
ossia una previsione della progressione della malattia. I ricercatori romani hanno infatti scoperto
che dall’analisi di particolari componenti salivari e dei loro rapporti
rispetto alla concentrazione di alfa-sinucleina si può fare una previsione
del decorso altamente affidabile. L’alfa-sinucleina oligomerica è il marker
d’eccellenza che, con una sensibilità quasi del 100% e una specificità del
98,39%, può distinguere chi è in fase iniziale di malattia da chi non è
affetto, con un'accuratezza diagnostica complessiva pari al 99%. |
2 Nuove opportunità terapeutiche nella Malattia di Alzheimer Prof. Alessandro Padovani,
Direttore Clinica Neurologica Università di Brescia Gli ultimi risultati su due nuove
molecole quali Donanemab e Lecanemab indicano che entrambe non solo riducono
in tempi brevi l’accumulo dell’amiloide nel cervello del 60% e di altre
proteine correlate alla neurodegenerazione come la Tau, che di conseguenza
induce un rallentamento della progressione clinica, pari a circa il 30%
rispetto a chi non assume la terapia. In attesa di ulteriori conferme, è
giusto sottolineare che questi farmaci appaiono efficaci anche in soggetti
anziani già affetti da un decadimento cognitivo. Rispetto ad altri farmaci,
lecanemab e donanemab mostrano un profilo di tollerabilità più
soddisfacente per quanto riguarda gli eventi avversi, in particolare lo sviluppo
di edema cerebrale e di microemorragie, sebbene occorra ricordare che queste
sono in parte più frequenti in chi assume antiaggreganti e anticoagulanti. |
3 Alzheimer: diagnosi precoce e prevenzione Prof. Camillo Marra,
Presidente SINdem – Associazione autonoma aderente alla SIN per le demenze La diagnosi precoce è la condizione necessaria per l’accesso alle nuove
terapie contro l’Alzheimer e deve essere effettuata quando ancora non sono
comparsi i sintomi tipici della malattia, nonché quando il disturbo non
interferisce sulle capacità e sulla autonomia funzionale. In questa fase in
cui il disturbo neurocognitivo è minimo (MCI l’acronimo inglese per
identificarla), l’indagine diagnostica necessita di competenze specialistiche
molteplici che includono l’investigazione neuropsicologica, lo studio
morfologico cerebrale attraverso la RMN cerebrale, lo studio della
funzionalità sinaptica e metabolica cerebrale con la PET cerebrale e lo
studio di biomarcatori che sono in grado di identificare le proteine
associate alla Malattia di Alzheimer dall’analisi del liquor
cefalorachidiano. Anche in assenza di terapie curative in grado di
modificare l’avanzamento della malattia, la diagnosi precoce è necessaria per
attuare, in maniera precoce, terapie preventive che rallentino la
progressione della patologia. Molto significativi i risultati dello studio finlandese FINGER sulla
prevenzione, pubblicati a più riprese su autorevoli riviste scientifiche:
hanno chiaramente dimostrato che tecniche di stimolazione cognitiva e
dieta bilanciata ipolipidica associate a un costante esercizio fisico sono in
grado di ridurre sia lo sviluppo di demenza nei soggetti a rischio sia di
rallentare la progressione della demenza nel tempo. |
4 Il sonno e le patologie neurologiche Prof. Giuseppe Plazzi, Responsabile Centro del Sonno, IRCCS delle
Scienze Neurologiche di Bologna Le scoperte degli ultimi 20 anni dimostrano come lo studio del sonno e
del ritmo circadiano abbia un ruolo centrale nella comprensione dei
meccanismi per la prevenzione delle patologie cardiovascolari ed
internistiche, del declino cognitivo, della Malattia di
Alzheimer, della Malattia di Parkinson, e di altre patologie
neurodegenerative. Numerosi studi scientifici hanno indagato il sonno notturno nei
pazienti a rischio di sviluppare patologie neurodegenerative, ed in
particolare la Malattia di Alzheimer, o che presentino una disfunzione
cognitiva soggettiva o lieve nell’ottica di prevenzione della demenza. Il trattamento
dell’insonnia diviene così uno degli obiettivi per la prevenzione
della disfunzione cognitiva e della malattia di Alzheimer. Data
l’importanza di indagare la qualità del sonno notturno e le sue
caratteristiche, la presenza di disturbi del sonno deve condurci ad impostare
trattamenti farmacologici e non farmacologici rivolti ad assicurare un sonno
notturno di buona qualità e quantità; di recente approvazione AIFA, la prima
terapia che agisce su uno dei sistemi della veglia bloccando i recettori
dell’orexina. Uno studio dell’International REM sleep Behaviour Disorder (RBD) Study Group - un gruppo di studio internazionale nato
nel 2010 con lo scopo di promuovere la ricerca e la divulgazione scientifica
di questo disturbo - condotto dal Professor Dario Arnaldi
dell’Università di Genova - ha dimostrato che alterazioni nel funzionamento
di specifiche aree cerebrali visibili alla SPECT (un esame
di neuroimmagini), in combinazione con costipazione, deficit
cognitivo ed età, indica un altissimo rischio di sviluppare una alfa-sinucleinopatia
a distanza di 2 anni dalla diagnosi di RBD. In altre parole, questo
studio dimostra che si può stimare con precisione se un paziente
con RBD è ad alto rischio di sviluppare Parkinson o altre
alfa-sinucleinopatie, nei due anni successivi alla diagnosi di RBD,
un’informazione estremamente utile per il disegno di nuovi studi
farmacologici. A disposizione per nuovi studi c’è anche il Database
Italiano FaRPreSto (FAttori di Rischio PREdittivi) che già contiene
564 casi di RBD raccolti in 13 Centri italiani. |
5. Ricerca e innovazione: le malattie neuromuscolari Prof. Antonio Toscano, Ordinario di Neurologia presso l’Università di
Messina e Segretario SIN Negli ultimi anni una migliore comprensione dei meccanismi
genetico-molecolari di malattia che provocano lo sviluppo delle malattie
neuromuscolari ha consentito di individuare nuove terapie che possano agire
con maggiore efficacia. Tra queste, l’utilizzo della terapia genica, degli
oligonucleotidi anti-senso e della terapia enzimatica sostitutiva. La terapia
genica si basa sulla possibilità di introdurre nell’organismo una copia
funzionante del gene alterato. Tale terapia è autorizzata in Italia per il
trattamento della SMA 1 (onasemnogene abeparvovec - Zolgensma). Sempre nella
SMA, una differente strategia consiste nella correzione del gene alterato
(SMN) per garantire un migliore funzionamento del gene stesso. Questo è il
caso dello Spinraza, un oligonucleotide antisenso che incrementa
l’espressione del gene SMN2. L’utilizzo di queste nuove strategie
terapeutiche suggerisce però l’esigenza di una diagnosi precoce al fine di
iniziare tempestivamente il trattamento. Oltre che per la SMA, nuovi approcci
terapeutici riguardano le miopatie mitocondriali, le miopatie metaboliche
come la malattia di Pompe e la Miastenia Gravis. Nella malattia di Pompe,
determinata dall’assenza di un’enzima, l’alfa glucosidasi, è stata introdotta
una nuova terapia enzimatica sostitutiva, che migliora i disturbi motori e
respiratori dei pazienti. Riguardo la Miastenia Gravis, una malattia
autoimmune, recentemente sono stati individuati nuovi farmaci quali
Eculizumab e Efgartigimod, che agiscono a vari livelli cellulari riducendo
gli attacchi anticorpali che caratterizzano la malattia |
6. Intelligenza Artificiale (AI) e Sclerosi
Laterale Amiotrofica (SLA) Prof. Vincenzo Silani, Già Professore Ordinario di Neurologia,
Università degli Studi di Milano La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) comporta per definizione inabilità
crescente in una popolazione di pazienti che mantiene per lo più inalterate
le funzioni cognitive, in un segmento di età giovanile con alta
istruzione ed attività professionale. La sensibilità dei pazienti alle
nuove tecnologie è molto alta e, per questo, la malattia rappresenta un
riferimento ideale per lo sviluppo di nuovi approcci tecnologici. Una delle più utili tecnologie del futuro frutto di Machine Learning
(ML) e Intelligenza Artificiale (IA) è l’ “hypersurface”, una
nuova tecnologia che combina sensori vibrazionali a ML/AI, trasformando ogni
oggetto di qualsiasi materiale, forma e dimensione in oggetto intelligente
capace di riconoscere interazioni fisiche: nel paziente affetto da SLA una
serie di gesti può essere quindi istantaneamente riconosciuta evocando
specifici comandi e rendendo non necessario l'utilizzo di tastiere, bottoni,
etc. Oggi la possibilità di definire la prognosi del paziente affetto
da SLA fin dall’inizio della malattia è una realtà, attraverso lo
sviluppo di un modello personalizzato previsionale che tiene
conto di vari fattori tra cui l’età di esordio e il tempo
intercorso alla diagnosi. ML/AI permetteranno di definire biomarker
diagnostici, di monitoraggio clinico e prognostici che favoriranno terapie
sempre più personalizzate. |
7. L’Intelligenza Artificiale per la diagnosi
preclinica nello sviluppo dell’Alzheimer e per la riabilitazione nella
paraplegia Prof. Stefano Cappa, Ordinario di Neurologia, Scuola Universitaria
Superiore IUSS di Pavia L’ intelligenza artificiale (IA) attuale è fondamentalmente un insieme di
strumenti che sono in gradi di affrontare in modi differenti quello che è il
limite principale della nostra formidabile dotazione di base, cioè il
cervello umano. Tra i pochi limiti del macchinario biologico c’è la limitazione
della sua capacità di analizzare grandi masse di dati. L’IA ci fornisce
questo supporto, amplificando in modo fino a poco tempo fa inimmaginabile le
nostre capacità. Un campo che ha rapidamente adottato gli strumenti offerti
dall’IA è l’analisi delle neuroimmagini: la possibilità di
“addestrare” gli algoritmi dell’AI a riconoscere pattern diagnostici di
patologia neurologica estende (non sostituisce) il sistema visivo umano a
livelli prodromici e (in associazione ad altri dati) preclinici nel caso
della malattia di Alzheimer, migliora la diagnosi differenziale con altre
demenze neurodegenerative e consente di formulare una prognosi sui
rischi di progressione di malattia. Inoltre, l’IA viene usata anche per la riabilitazione
e della neuroprotesica consentendo di analizzare e decodificare in tempo
reale enormi quantità di segnali neurali per controllare braccia robotiche,
produrre segnali vocali o applicare procedure di neurostimolazione. |
8. COVID e cervello: una relazione in
evoluzione Prof. Carlo Ferrarese, Direttore del Centro di Neuroscienze di Milano,
Università degli Studi di Milano-Bicocca e della Clinica Neurologica,
Ospedale San Gerardo di Monza Al Congresso sono stati presentati i risultati aggiornati dello studio
multicentrico, chiamato NEUROCOVID, patrocinato dalla Società Italiana
di Neurologia, che ha visto la partecipazione di 38 Neurologie italiane,
distribuite nelle varie regioni, con la partecipazione anche di San Marino.
Tale studio ha reclutato quasi 3.000 pazienti affetti da
complicanze neurologiche, dei quali quasi 2.000 erano ospedalizzati
ed un migliaio seguiti a domicilio, nel periodo 1 marzo 2020-30 giugno
2021, con un follow-up dei casi fino al 31 dicembre 2021. Attualmente
è stata effettuata l’analisi dei pazienti ospedalizzati, che hanno
presentato 2881 complicanze neurologiche in 1865 pazienti, su un totale di
52759 pazienti ospedalizzati per COVID-19, con diversa gravità
sintomatologica. Le complicanze neurologiche più frequenti erano
un’encefalopatia acuta, che si manifesta con delirium o disturbi di coscienza
(25% dei casi), disturbi dell’olfatto o del gusto (20% dei casi), ictus
ischemico (18% dei casi) e disturbi cognitivi (14% dei casi). L’incidenza
delle complicanze neurologiche si è progressivamente ridotta nelle varie
ondate della malattia, con una prevalenza di 8%, 5% e 3% rispettivamente
nelle prime tre ondate. L’esordio dei sintomi si manifestava soprattutto
nella fase iniziale di malattia, ma in alcuni casi vi era un esordio nelle
settimane successive. Nella maggior parte dei casi vi era un buon recupero
funzionale, anche se in molti casi si è assistito ad un persistere dei
sintomi fino ad oltre sei mesi dall’infezione. Tra le complicanze neurologiche
a distanza, che rientrano nel cosiddetto “long-COVID”, prevalgono i
disturbi cognitivi, caratterizzati soprattutto da difficoltà di attenzione e
di memoria |
9. Emicrania: nuove opportunità terapeutiche e
i marker serici per riconoscere gli abusatori dei farmaci antiemicranici Prof. Antonio Russo, Responsabile del Centro Cefalee della I Clinica
Neurologica dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” Nel percorso di sostegno e presa in carico dei pazienti affetti da
emicrania sono di fondamentale importanza i nuovi farmaci per la terapia di
prevenzione, finalizzati alla riduzione della frequenza e dell’intensità
degli attacchi come la tossina botulinica che, utilizzata con un
protocollo specifico si è dimostrata efficace nella prevenzione
dell’emicrania cronica, e gli anticorpi monoclonali diretti contro il CGRP
(peptide correlato al gene della calcitonina) attore protagonista del dolore
emicranico. Il dato interessante è che tali trattamenti oltre ad essere
efficaci (tali da indurre una riduzione di almeno la metà del numero di
giorni con emicrania al mese in circa il 70% dei pazienti) sono altamente
tollerabili e sicuri. Un recente studio del gruppo della Prof.ssa Tassorelli dell’Istituto
Mondino di Pavia ha prodotto dati molto promettenti per identificare quei
pazienti maggiormente a rischio di evolvere in una condizione di emicrania
cronica con uso eccessivo di farmaci sintomatici e che pertanto meritano
una maggiore attenzione al decorso clinico per un’azione preventiva precoce
ed efficace: andando a valutare i livelli plasmatici del CGRP e l'espressione
di alcuni pattern genetici (cosiddetto micro-RNA) provenienti da cellule del sangue
periferico di pazienti emicranici, è emerso che i livelli di CGRP e
l’espressione dei micro-RNA erano significativamente più alti nei soggetti
con emicrania cronica con uso eccessivo di farmaci per l’attacco. Si è visto,
inoltre, che la disassuefazione dai farmaci per l’attacco usati in maniera
eccessiva ha comportato una riduzione significativa dei livelli di CGRP e
l'espressione dei micro-RNA |
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