Anticoagulanti Orali prevenzione ictus nella Fibrillazione Atriale: istruzioni per l’uso
Da Lucca collegata in contemporanea con 9 città italiane
(Bari, Bergamo, Bologna, Cagliari, Catania, Mestre, Napoli, Roma, Torino) la
cardiologia italiana si incontra per fare il punto della situazione dopo
l’introduzione dei Nuovi Anticoagulanti Orali, e definirne le raccomandazioni di
utilizzo. Obiettivo: estendere il più possibile la profilassi antitrombotica per
rompere il legame tra Fibrillazione Atriale ed ictus.
Lucca, 25 febbraio 2014 - La Fibrillazione
Atriale – alterazione del ritmo cardiaco che colpisce 9,6 milioni di persone
in Europa – si associa ad un rischio globale di incorrere in un ictus
cerebrale 5 volte maggiore rispetto alla popolazione che non soffre di questa
patologia. Rischio che aumenta in modo esponenziale con il progredire
dell’età, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di mortalità,
disabilità ed inevitabilmente di costi per il nostro Sistema
Sanitario.
Per
esercitare misure preventive adeguate, l’elemento cruciale diventa
l’applicazione di un efficace regime terapeutico, attraverso una terapia
anticoagulante. Tuttavia in Italia si registra un sottotrattamento dei pazienti
affetti da Fibrillazione Atriale, dovuto principalmente ai limiti della
profilassi farmacologica finora utilizzata (antagonisti della vitamina K), che
presenta alcune difficoltà di gestione come la necessità di frequenti controlli
ematologici per l’aggiustamento del dosaggio, interazioni con alimenti ed altri
farmaci.
Recentemente, tuttavia, sono disponibili anche in
Italia nuovi rimedi terapeutici, i Nuovi Anticoagulanti Orali (dabigatran,
rivaroxaban e apixaban) più maneggevoli e sicuri, in grado di venire incontro
alle esigenze di medici e pazienti.
Spezzare la relazione tra Fibrillazione Atriale ed
ictus, inquadrare correttamente
questa patologia, rendendola terreno comune di conoscenza anche
nell’ambito di altre specialità, altrettanto partecipi della gestione di
queste problematiche (neurologi, internisti, MMG, ecc.), soprattutto alla
luce della recente introduzione della nuova classe farmacologica (che
accanto al vantaggio di non necessitare di frequenti controlli ematologici, è
più efficace degli antagonisti della vitamina K e riduce il rischio di
sanguinamenti), inserendola nel contesto della vita reale del
paziente.
Questi, in estrema sintesi, i temi trattati nel corso
dell’evento dal titolo “Universo Trombosi. Rompere il legame tra
fibrillazione atriale & ictus. Consigli d’autore” in corso oggi in 10
città italiane, collegate in contemporanea tra di loro, promosso da ANMCO -
Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri e da AIAC –
Associazione Italiana di Aritmologia e Cardiostimolazione. L’incontro,
accreditato ECM, è realizzato con il supporto di Bayer S.p.A. e vede la
partecipazione di oltre 1.200 partecipanti tra cardiologi e internisti e 150 tra
moderatori e relatori, esponenti autorevoli della cardiologia
italiana.
“Gli aspetti più rilevanti sono quelli legati allo
storico sottoutilizzo della terapia anticoagulante nei pazienti con
Fibrillazione Atriale – dichiara Francesco Bovenzi, Presidente ANMCO e
Direttore della Cardiologia dell’Ospedale ‘Campo di Marte’ di Lucca - Anche se
con la nuova classe terapeutica ci aspettiamo una maggior copertura, ad
oggi permane un’elevata percentuale di soggetti che non esegue alcun tipo di
profilassi o viene sottoposto a trattamento con antiaggreganti piastrinici,
che hanno dimostrato di non proteggere completamente dall’eventuale insorgenza
di fenomeni tromboembolici, e di avere un eguale rischio emorragico rispetto
agli altri anticoagulanti. Percentuale che globalmente può arrivare al
40%”.
“I nuovi farmaci - continua Bovenzi
– sono più semplici da utilizzare, dato che non richiedono frequenti
controlli ematici, sono somministrati a un dosaggio fisso, facilitando
l’aderenza alla terapia (nel caso specifico rivaroxaban è l’unico NAO ad essere
assunto in monosomministrazione giornaliera), hanno scarsissima probabilità
di interazioni con alimenti o altri farmaci, presentano ridotto rischio
di emorragie cerebrali rispetto al warfarin. Ciononostante, ad oggi, solo
il 6% dei pazienti è curato con essi, probabilmente anche a causa di una
complessa gestione burocratica nelle prescrizioni”.
“Se le nuove molecole hanno mostrato
un’unica grande comune efficacia e la sicurezza dovuta alla riduzione del
rischio emorragico – afferma Luigi Padeletti, Presidente AIAC e
Ordinario di Malattie Cardiovascolari dell’Università degli Studi di Firenze –
per la classe medica è importante poter sapere quale impatto abbiano questi
farmaci nella pratica clinica, in funzione del diverso profilo di rischio”.
Diverse sono, infatti, le questioni aperte dibattute
durante il Convegno. “Partendo dagli aspetti fisiopatologici e passando
attraverso l’analisi dei recenti trial che hanno testato l’efficacia e la
sicurezza delle nuove molecole – aggiunge Padeletti - la comunità medico
scientifica deve trovare una linea comune su alcuni aspetti come la
selezione dei pazienti, i dosaggi, le modalità dello switch
rispetto agli antagonisti della vitamina K, la gestione procedurale in
chirurgia generale, in caso di estrazioni dentarie, in
concomitanza con cardioversione elettrica, ecc.”
Un’altra questione aperta riguarda la gestione del
paziente in trattamento anticoagulante orale. Con i farmaci “tradizionali” i
pazienti hanno come riferimento i Centri TAO. E con il nuovi
farmaci?
“Sicuramente oggi è necessario ‘educare’ sia il
paziente che il medico nella gestione del follow up di questa terapia –
afferma Bovenzi – come il controllo della funzionalità renale e dei parametri
generici della coagulazione”.
“Per concludere – aggiunge Padeletti – in Italia
ci sono 2 milioni di persone che soffrono di Fibrillazione Atriale, soprattutto
anziani. Si tratta di un aspetto di sanità pubblica rilevante su cui è
importante soffermarsi, facendo opera di sensibilizzazione sia a livello di
classe medica, che di opinione pubblica, per riuscire a colmare più
rapidamente possibile, anche grazie ai nuovi farmaci, il gap ancora esistente
tra necessità di profilassi e reale trattamento”.
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