Capsula endoscopica: la metodica diagnostica in grado di far luce sulle aree buie dell’intestino
L’evoluzione del
dispositivo dal 2001 ad oggi, entrato nei LEA lo scorso anno,
ma ancora sottoutilizzato
Milano, 15 febbraio 2018 – La capsula endoscopica è oggi la soluzione diagnostica più moderna, sicura e
tecnologicamente avanzata disponibile per
la visualizzazione dell’apparato digerente e in particolare del piccolo
intestino (composto da duodeno, digiuno e ileo). Ciononostante, a sedici anni
dal suo ingresso in Italia e dopo un’importante evoluzione tecnologica, risulta ancora sottoutilizzata: circa 7.500
casi l’anno contro i 25.000 francesi. Questo sebbene gli italiani siano
stati tra i primi a impiegarla.
Si tratta di una capsula monouso, ingeribile, dotata di una o due telecamere che
acquisiscono immagini dell’intestino mentre lo percorrono sfruttando la sua
naturale peristalsi. Lanciata in Italia nel 2001 in un solo modello, la capsula
ha avuto negli anni una notevole evoluzione tecnologica, che la rende oggi disponibile in quattro modelli, ciascuno
ottimizzato per un preciso segmento o patologia gastrointestinale (intestino
tenue, intestino crasso, tratto gastrointestinale superiore, malattia di Crohn)
in base al tipo d’indagine richiesta.
«La videocapsula permette di vedere un tratto dell’apparato digerente
prima sconosciuto. Ci ha permesso di entrare nel piccolo intestino, lungo circa
6 metri, un tempo indagabile solo tramite la radiologia o l’intervento
chirurgico - spiega il dottor Renato
Cannizzaro, Direttore della Gastroenterologia Oncologica Sperimentale
presso il Centro di Riferimento Oncologico di Aviano -. Quando nel 2000 negli Stati Uniti, durante un Congresso medico,
furono presentati i primi dieci volontari sottoposti a diagnosi con capsula
endoscopica, ci alzammo tutti e 5mila in sala ad applaudire una scoperta che
fino ad allora sembrava fantascienza».
Le indicazioni per il suo utilizzo sono: sanguinamento dell’apparato digerente oscuro non a carico dell’esofago, dello
stomaco e del colon e in tutti i casi non rilevabili con colon e
gastroscopia. Negli ultimi anni, poi, le indicazioni si sono
allargate. Si è visto che può essere utile
quando c’è una celiachia che non risponde al trattamento, nei casi di malattia di Crohn difficili da
diagnosticare (con particolare, ma non unica, attenzione a quella che colpisce
l’intestino tenue), in caso di malattie
genetiche che possono portare al tumore dell’intestino, come la Sindrome di
Peutz-Jeghers, o se si sospetta la presenza di polipi.
In assenza, fino a tempi recenti, di una normativa nazionale uniforme
sulla rimborsabilità della videocapsula, in alcune regioni essa è tariffata come procedura ambulatoriale, in
altre, invece, richiede un ricovero ospedaliero. Nel 2017, tuttavia, la
metodica è stata inserita nei nuovi
Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), permettendo così una teorica
tariffazione omogenea su tutto il territorio nazionale. Ad oggi,
questo non è avvenuto. Le Regioni che, in diversa misura, rimborsano l’esame
con videocapsula sono il Friuli Venezia Giulia, la Lombardia, il
Veneto, l’Emilia Romagna, la Basilicata, le Marche, il Piemonte, il Trentino Alto-Adige,
la Val d’Aosta e l’Umbria.
«I LEA vengono recepiti in termini molto variabili - afferma il
dottor Cristiano Spada, Direttore
dell’Unità di Endoscopia Digestiva, Fondazione Poliambulanza di Brescia -. Ci sono resistenze importanti: si teme che,
laddove venga rimborsata, se ne faccia un uso sconsiderato. Un timore
infondato, considerando che nelle Regioni dove è già disponibile non si è
registrato questo problema. Anzi, si è visto che tendenzialmente ci si attiene
alle indicazioni, le più importanti delle quali sono il sanguinamento oscuro e la
malattia di Crohn. Ci sono poi strutture che, non avendo il rimborso, decidono
di utilizzare la capsula endoscopica in regime di ricovero in modo da
ammortizzare le spese con i DRG. Così, un esame che potrebbe costare 1.000 euro
finisce per costarne oltre 2.500. Uno studio recente ha rivelato che, in
alcune Regioni, da quando la metodica è stata rimborsata c’è stato un
risparmio annuale di circa 1milione e 700mila euro, erogando l’esame in regime
ambulatoriale piuttosto che in regime di ricovero».
Nei prossimi mesi saranno pubblicate le Linee Guida Tecniche Europee su come
eseguire nel modo più efficace l’enteroscopia con videocapsula. In
attesa di queste indicazioni, un gruppo di esperti coordinato dal dottor
Cannizzaro ha promosso un’indagine conoscitiva che ha visto la
partecipazione di 120 Centri sul territorio nazionale. Da questo
studio - un questionario dedicato con più di 40 domande a risposta multipla - è
emerso che annualmente in Italia vengono
eseguite circa 7.500 enteroscopie con videocapsula. I Centri che hanno
aderito sono per l’80 per cento
strutture pubbliche e/o IRCCS ed eseguono in media circa 40 esami con capsula
endoscopica l’anno; solo 13 Centri, invece, ne fanno più di 100.
Oltre il 70 per cento delle strutture ha più di cinque anni di esperienza
nell’uso della metodica e il 50 per
cento degli esami sono svolti in regime di ricovero o di day-hospital.
«Dopo
sedici anni di utilizzo nella pratica clinica di questa innovativa tecnologia
ci sono dimostrazioni di costo-efficacia importanti - informa il
dottor Marco Pennazio, Divisione di Gastroenterologia
Universitaria, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Città della Salute e della
Scienza di Torino, che ha coordinato la stesura delle Linee Guida della Società
Europea di Endoscopia Digestiva sulle indicazioni cliniche all’impiego della capsula
endoscopica -. Si è visto, infatti, che
la metodica garantisce un risparmio di risorse nelle cure successive del
paziente perché la diagnosi è più precisa ed accurata. Siamo, quindi, alla
ricerca di un consenso da parte dei responsabili politico-amministrativi».
Una delle indicazioni della
capsula endoscopica è nella diagnosi dei
casi più gravi di malattia di Crohn, che in Italia colpisce circa 100-120 mila
persone con una localizzazione in almeno 1 paziente su 2 nell’intestino tenue.
Medtronic ne ha lanciata una specifica per questa patologia; sul suo utilizzo verrà presentato nei prossimi mesi un position paper firmato da quattro Società Scientifiche.
«Si tratta di una metodica di grande importanza per il Crohn, soprattutto quando ci sono sintomi suggestivi
per la presenza della malattia, ma la colonscopia e la gastroscopia risultano
negative - afferma Maurizio Vecchi,
Professore di Gastroenterologia e Direttore dell’UO di Gastroenterologia ed Endoscopia
della Fondazione Ca’ Granda Policlinico di Milano -. In questi casi, per lo studio del tenue, si potrebbero eseguire
l’entero-tac e l’entero-risonanza, ma la prima dà radiazioni importanti,
l’altra può creare problemi di claustrofobia. Inoltre, la capsula è molto più
capace di individuare lesioni iniziali come erosioni ed ulcere, mentre gli
esami TC e RM identificano solo le lesioni che interessano tutto lo spessore
della parete intestinale. L’unica precauzione da attuare nell’eseguire la
videocapsula in pazienti con il Crohn è quella di evitarla nei pazienti con
sospetti restringimenti dell’intestino, che potrebbero causarne la ritenzione. Ormai,
però, si è visto che facendo precedere all’esame una capsula patency, ovvero
una “finta” capsula che si scioglie se rimane nell’intestino troppo a lungo, il
problema è risolto: se passa indenne attraverso l’intestino, allora l’esame può
essere eseguito in sicurezza».
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